FIGLIE DELLA CHIESA Lectio "Epifania del Signore"
Epifania del Signore
Antifona d'ingresso
È venuto il Signore nostro re:
nelle sue mani è il regno, la potenza
e la gloria.(cf. Ml 3,1; 1Cr 19,12)
Colletta
O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella,
hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio,
conduci benigno anche noi,
che già ti abbiamo conosciuto per la fede,
a contemplare la grandezza della tua gloria.
PRIMA LETTURA (Is 60,1-6)
La gloria del Signore brilla sopra di te.
Dal libro del profeta Isaìa
Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.
SALMO RESPONSORIALE (Sal 71)
Rit: Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.
O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.
I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.
Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.
SECONDA LETTURA (Ef 3,2-3a.5-6)
Ora è stato rivelato che tutte le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Canto al Vangelo (Mt 2,2)
Alleluia, alleluia.
Abbiamo visto la sua stella in oriente
e siamo venuti per adorare il Signore.
Alleluia.
VANGELO (Mt 2,1-12)
Siamo venuti dall’oriente per adorare il re.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
ANNUNZIO DEL GIORNO DELLA PASQUA
Dopo la proclamazione del Vangelo, il diacono o il sacerdote o un altro ministro idoneo può dare l’annunzio del giorno della Pasqua.
Fratelli carissimi, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno.
Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza.
Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua il …. .
In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte.
Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi:
Le Ceneri, inizio della Quaresima, il …. .
L’Ascensione del Signore, il …. .
La Pentecoste, il …. .
La prima domenica di Avvento, il …. .
Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli apostoli, dei santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore.
A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli.
Amen.
Preghiera sulle offerte
Guarda, o Padre, i doni della tua Chiesa,
che ti offre non oro, incenso e mirra,
ma colui che in questi santi doni
è significato, immolato e ricevuto:
Gesù Cristo nostro Signore.
PREFAZIO DELL’EPIFANIA
Cristo luce di tutti i popoli
E' veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente ed eterno.
[Oggi] in Cristo luce del mondo
tu hai rivelato ai popoli il mistero della salvezza
e in lui apparso nella nostra carne mortale
ci hai rinnovati con la gloria dell’immortalità divina.
E noi, uniti agli Angeli e agli Arcangeli,
ai Troni e alle Dominazioni
e alla moltitudine dei Cori celesti,
cantiamo con voce incessante
l’inno della tua gloria: Santo...
Antifona di comunione
Noi abbiamo visto la sua stella in oriente
e siamo venuti con doni per adorare il Signore. (cf. Mt 2,2)
Preghiera dopo la comunione
La tua luce, o Dio, ci accompagni sempre e in ogni luogo,
perché contempliamo con purezza di fede
e gustiamo con fervente amore il mistero
di cui ci hai fatto partecipi.
Lectio
A Natale è Dio che cerca l'uomo; all'Epifania è l'uomo che cerca Dio. L'Epifania è la festa dei cercatori di Dio, il natale dei lontani. Insieme ai Magi cammina l'uomo di sempre che, come loro, ha gli occhi nel cielo. I Magi, questi misteriosi lettori di stelle, sono il simbolo dell'immensa famiglia umana che per vivere ha bisogno di guardare in alto, ha bisogno di una esistenza non statica ma estatica: estasi è uscire da sé verso il grande giro delle stelle, dal cortile di casa verso la patria grande del mondo.
I magi sono anche «i santi più nostri», «gente dal cuore mai sazio» (D.M.Turoldo) che mostrano nella loro vicenda l'evidenza di quella frase di Agostino: «Inquieto il nostro cuore finché non riposa in Dio».
Sono «i santi più nostri» perché il loro cammino è pieno di incertezze e di errori: giungono nella città sbagliata, perdono di vista la stella, parlano del bambino con l'uccisore di bambini, cercano un re e trovano un Dio. Ma il loro cammino è pieno dell'infinita pazienza di ripartire, di ricominciare, a conforto di tutte le nostre ripartenze.
Il brano liturgico di questa Solennità forma l’inizio del capitolo 2 di Matteo (2,1-29) al quale seguono altri tre quadri narrativi: la fuga in Egitto (2,13-15); la strage degli innocenti (2,16-18) e il ritorno dall’Egitto (2,19-23).
Da notare che nel cuore della storia dei Magi troviamo una citazione biblica che focalizza l’importanza di Betlemme in questo periodo dell’infanzia di Gesù: «E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città di Giuda: da te, infatti, uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele» (Mt 2,6). Le due città costituiscono lo sfondo di questa vicenda dei Magi e sono accomunate da due fili tematici: la stella (vv. 2.7.9.10) e l’adorazione del bambino (vv. 2.11).
vv.1-2: “Nato Gesù a Betlemme di Giudea”.
I capitoli 1-2 di Matteo raccolgono l'infanzia di Gesù. Il secondo capitolo si apre con l'adorazione dei Magi a Betlemme, luogo di nascita di Davide e luogo di origine del futuro re messia. A conferma di ciò Matteo cita Michea 5,1-3. “Alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme”. Il termine greco magoi (magi da cui il termine italiano) ha una vasta gamma di significati: sacerdoti persiani, detentori di poteri soprannaturali, astrologi. La menzione della “stella” mostra che essi sono esperti in astrologia.
L’arrivo dei Magi è il segno che Gesù compie le promesse antiche, ma il compimento è accompagnato dal giudizio su Israele: i lontani accolgono il Messia e i vicini lo rifiutano. Tutto il Vangelo di Matteo è segnato da questa sorpresa: basti pensare alla parabola dei vignaioli omicidi (21,33ss.) o alla parabola della grande cena (22,1-14): ambedue mostrano che il regno passa da Israele ai pagani, e che questo passaggio rientra nel disegno di Dio.
“dov’è il re dei Giudei che è nato?” La prima parola di Dio rivolta ad Adamo è: “Dove sei?” (Gen 3,9) perché anche l’uomo chiedesse a sua volta a Dio: dove sei? E i due si potessero incontrare. Anche da parte dei magi c’è semplicemente, nascosto nella loro domanda, l’invito che ci viene rivolto di chiederci chi è questo bambino?
“Abbiamo visto spuntare la sua stella”. Questi magi sono astrologi, Sono studiosi che hanno visto in una stella un segno. La stella nell’antico Oriente era il segno di un dio e, di conseguenza, di un re divinizzato. Matteo ci riferisce questo fatto, perché esiste una profezia messianica esplicita nel libro dei Numeri (24,17), che parla di una stella.
“siamo venuti ad adorarlo”. Per tre volte nel racconto dei magi risulta il verbo greco dell'adorazione, che di sua natura indica il curvarsi dell'uomo nella venerazione della grandezza divina (Mt 2,2.8.11). Questo gesto sembra anticipare quanto l'evangelista dirà in seguito: “Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e riceveranno a mensa...” (8,11). Purtroppo l'umanità spesso “ha venerato e adorato la creatura al posto del Creatore” (Rm 1,25). “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori” (1Pt 3,15). Tuttavia l'adorazione non è solo un atto di timore, è anche espressione di adesione gioiosa, di libertà, di intimità.
I magi che vengono dall'Oriente per incontrare il re dei Giudei si volgono spontaneamente verso Gerusalemme (vv.2-7), ritenuta la sede più importante. Ma il loro itinerario si modifica e si dirigono verso Betlemme (vv.8-12) la città di Davide che è la “più piccola delle città di Giuda”. (cfr. 1Sam 16). Il cambiamento di itinerario è motivato dalla profezia di (cfr. Mi 5,1.3) che annuncia la visita di Dio in mezzo al suo popolo per fargli dono di una guida, di un pastore.
v.3: “il re Erode restò turbato”
Dunque Gesù è re. Matteo ha però cura di collocare questo titolo in un contesto di opposizione. Accanto al re Messia c’è il re Erode. E il secondo ha paura del primo. In che senso Gesù può dirsi re? Un cenno alla regalità era già presente nella genealogia: Davide è il re, e Gesù discende da lui. Però fra Davide e Gesù c’è l’esilio, la fine del regno di Davide, la perdita di ogni prestigio politico: Gesù è re, ma senza corona.
Erode con il suo orgoglio non entra in questa dimensione della regalità di Gesù. Si crede l'unico re assoluto, altri non sono che usurpatori. La realtà e la verità è difficile da accettare, da accogliere, da sentire e da vivere.
vv.4-6: “Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo”.
C'è un informarsi che significa ricerca. Ma attenzione la ricerca di Erode è negativa non coglie la presenza della Luce. Erode abitava a otto chilometri di distanza da Betlemme, quindi vicino; poteva facilmente trovare il bambino. Non lo ha trovato. I Magi sono lontani dal punto di vista fisico, spirituale e morale; eppure camminano; la luce è sufficiente per dare a loro un itinerario di salvezza.
Per tanti aspetti noi siamo i vicini, però questo non ci garantisce. Bisogna che vicini come siamo riusciamo a cogliere questa luce, a lasciarci illuminare. E se siamo lontani per un motivo o per l’altro, però possiamo ricordare che il Natale è per noi, che la manifestazione del Signore è per noi. Non siamo così lontani da non intravedere la luce. La luce di Dio è andata a scomodare i Magi, là dov’erano. Così nessuno è così lontano da non potere intravedere questa luce. È a tutti che viene data la possibilità di trasformare il proprio camminare senza meta in un itinerario che ha come meta l’amore di Dio, il luogo dove l’amore di Dio si è manifestato.
“A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta...”. Erode sa, attraverso il profeta Michea, che il Messia deve nascere a Betlemme (Mi 5,1), ma non lo va a cercare. Si sperimenta quello che è uno dei drammi della storia dell’uomo e in fondo della storia della elezione di Dio. Il Signore chiama; quando il Signore chiama, ama con un amore di predilezione. Però chi è amato, e chi è scelto, deve stare attento a non trasformare la vocazione e la elezione in privilegio, come se la elezione di Dio lo collocasse al di sopra degli altri.
vv.7-8: “Allora Erode, chiamati segretamente i Magi... Andate e informatevi accuratamente sul bambino...”.
Il re dei giudei, infatti, era lui; egli riteneva di essere il punto di riferimento e di unità del suo popolo. Ora questa “stella”, apparsa improvvisamente nel cielo, viene a sconvolgere le sue prospettive, viene a competere con la sua autorità, la sua ricchezza, il suo prestigio.
vv.9-11: “essi partirono. Ed ecco, la stella...”.
Ricompare la stella (notiamo che questa riappare, dopo che “si allontanano” da Erode e da Gerusalemme), che si muove insieme ai magi e li conduce fino al luogo preciso della presenza del Signore Gesù. Quando Dio entra nella vita degli uomini lo fa sempre utilizzando un “linguaggio” che il destinatario può comprendere, rivelando così la sua condiscendenza: non dobbiamo, dunque, cercare i segni della presenza del Signore al di fuori della nostra storia, ma leggere il nostro quotidiano alla luce della Parola di Dio per scoprire le “stelle” e le “mangiatoie” in cui il Signore si fa trovare.
“Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima ...”. Provare gioia ... la presenza del Signore che ci riempie il cuore fino a farlo trasalire di gioia. La sua vista li riempie di una gioia profonda, quella che solo Dio può dare all'uomo, ai popoli; quella che ci rende capaci di uscire da noi stessi, superando ostacoli e contraddizioni, per comunicare ad altri ciò che è avvenuto nel nostro incontro con la Luce.
“videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono”. I magi vedono “il bambino in braccio alla madre” e adorano, verbo che nella sua etimologia significa portare la mano alla bocca, tacere e contemplare. Adorano il bambino, non un Re, non un Crocifisso perdonante, non un Risorto. Semplicemente un bambino. E si prostrano, si fanno piccoli davanti all'infinitamente piccolo. I cercatori trovano un bambino avvolto da un abbraccio. La madre è l'abbraccio che fa vivere. Ancora adesso Dio vive per il nostro amore, sta a noi aiutarlo a incarnarsi in queste case, in questi incontri. Valorizzando il feriale, il carnale, l'umiltà di Dio, la compenetrazione tra cielo e terra, uomo e Dio abbracciati, che insieme operano nella concretezza. «In mezzo a voi c'è uno che voi non conoscete» (Gv 1,26)
“aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”. I magi offrono doni significativi, che ci permettono di cogliere il mistero in tutta la sua profondità: oro, incenso e mirra. Di per sé quelle offerte sono il simbolo del riconoscimento di Gesù come messia, a cui si presenta un tributo di venerazione, come suggerisce la Bibbia: Sal 72, 10-11; Gen 49,10; Num 24,17; Mi 5,1-3; Is 49,23; 60,1-6.
Quando hai incontrato una persona, quando qualcuno ti risulta gradito, caro, amato e amante, prima o poi senti il bisogno di entrare nella dimensione del dono, nell'amore che si dona, non in quello che si prende.
L'oro della nostra obbedienza, l'incenso della nostra adorazione, la mirra delle angosce e delle delusioni. Il prezioso, il sublime, il nobile, il divino, il tragico: in quel bambino c'è tutto questo.
v.12: “per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”
Avendo contemplato e adorato il Signore, i magi ricevono da Dio stesso la rivelazione; è Lui stesso che parla a loro. Sono uomini nuovi; hanno in sé un nuovo cielo e una nuova terra. Sono liberi dagli inganni dell'Erode del mondo e perciò ritornano alla vita per una via tutta nuova, che il discernimento aveva loro indicato (cfr. 1Re 13,9-10). Una volta incontrato Cristo, non si può più tornare indietro per la stessa strada. Cambiando la vita, cambia la via. L'incontro con Cristo deve determinare una svolta, un cambiamento di abitudini. Chi ha incontrato il Signore scopre che la sua vita prende un'altra direzione, che il ritorno a casa, al centro di sé, al senso della vita, avviene per una strada nuova. I Magi scompaiono nei gorghi dell'oriente ma non si smarriscono, perché portano una stella in fondo al cuore.
L'Epifania che oggi celebriamo è aprire la nostra vita all'incontro con Cristo ed aprire tutti gli spazi possibili perché egli prenda possesso del nostro cuore e della nostra mente, per assaporare la gioia di appartenergli e di vivere per Lui, con Lui ed in Lui.
Appendice
I Gentili aderiscono al Cristo per mezzo dell’amore ai Giudei
Ora, dunque, o carissimi, figli ed eredi della grazia, osservate la vostra vocazione, ed apritevi ai Giudei ed ai Gentili, aderendo a Cristo, come pietra principale dell`edificio, con un amore molto perseverante.
Si manifestò, infatti, nella stessa culla della sua infanzia a questi, che erano vicini, e a quelli che erano lontano; ai Giudei, con la vicinanza dei pastori, ai Gentili, con la lontananza dei Magi.
Si crede che quelli venissero a lui nel giorno stesso in cui nacque, questi oggi.
Si manifestò, dunque, né a quelli, perché erano dotti, né a questi, perché giusti.
Traspare, infatti, nella rustichezza dei pastori, l`inesperienza, ma l`empietà nel carattere profano dei Magi.
La pietra angolare (il Cristo) attirò a sé gli uni e gli altri: senza dubbio, perché venne a scegliere le cose stolte dal mondo per confondere i sapienti (1Cor 1,27); e non chiamare i giusti, ma i peccatori (Mt 9,13); affinché nessun uomo grande insuperbisse, e nessun piccolo disperasse.
Per la qual cosa gli Scribi e i Farisei mentre sembrano troppo dotti e troppo giusti, indicarono la città del (Messia) nato, interpretando l`oracolo profetico, ma lo respinsero.
Ma poiché (egli) divenne la pietra principale (Sal 117,22), ciò che, nascendo, mostrò, adempì, soffrendo; aderiamo a lui con altri, includendo il resto d`Israele, che per elezione della grazia divenne salvo (Rm 11,5).
Quei pastori, infatti, li prefiguravano sulla loro imminente riunificazione, affinché anche noi, che siamo stati prefigurati dall`arrivo dei Magi, chiamati da lontano, rimaniamo, non più pellegrini ed estranei, ma familiari di Dio, edificati sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti, in virtù della principale pietra angolare, che è il Cristo Gesù: che una sola cosa realizzò e dell`una e dell`altra (Ef 2,11-12), affinché amiamo l`unità essendo uniti ed abbiamo l`instancabile carità, per riunire i rami che innestati sul selvatico, son diventati eretici ostinati, a causa della loro superbia, poiché potente è Dio che li innesta di nuovo (Rm 11,17-24). (Agostino, Sermo 200, 4)
I doni dei Magi svelano il mistero di Cristo
L`apparizione di una stella, compresa fin dall`inizio dai Magi, evoca l’idea che i pagani non debbono interporre indugi nel credere in Cristo, né gli uomini allontanati dalla conoscenza di Dio dalle loro convinzioni derivate dalla scienza, stentare a riconoscere la luce che immantinente è apparsa alla sua nascita. In effetti, l’offerta dei doni ha espresso l`essere di Cristo in tutto il suo significato, riconoscendo il re nell’oro, Dio nell’incenso, l’uomo nella mirra. E con la venerazione dei Magi si realizza pienamente la conoscenza dell’insieme del mistero: della morte nell’uomo, della risurrezione in Dio, del potere di giudicare nel re. Nel fatto poi che sono impediti di ritornare sui loro passi e di tornare in Giudea da Erode, vi è l’idea che noi non siamo liberi di attingere in Giudea la nostra scienza e la nostra conoscenza, ma che siamo invitati ad abbandonare la via della nostra vita anteriore collocando tutta la nostra salvezza e tutta la nostra speranza in Cristo. (Ilario di Poitiers, In Matth., 1, 5)
I magi attestano con i doni la fede nel mistero
In effetti, per quanto egli avesse prescelto la nazione israelita, e in questa medesima nazione una data famiglia per assumervi la comune natura umana, non volle tuttavia che le primizie della sua venuta restassero nascoste nei ristretti limiti della casa materna; volle al contrario farsi subito conoscere da tutti, lui che si degnava nascere per tutti.
Una stella di insolita lucentezza apparve allora a tre Magi d’Oriente, stella più brillante e più bella di tutti gli altri astri, che facilmente attrasse gli occhi e i cuori di coloro che la contemplavano; si poteva in tal modo comprendere che non fosse del tutto gratuito quanto di insolito era dato vedere. Colui che concedeva quel segno a quegli osservatori del cielo, ne concesse del pari l`intelligenza; ciò che fece capire, fece anche ricercare; e una volta cercato, si lasciò trovare.
I tre uomini si lasciano condurre dalla luce proveniente dall’alto e si fissano, contemplandolo senza stancarsi, al chiarore dell’astro che li precede e fa loro da guida; così, sono condotti dallo splendore della grazia fino alla conoscenza della verità, essi che, secondo il buon senso, avevano ritenuto un dovere cercare in una città regale la nascita di un re che era stato loro rivelato da quel segno. Ma colui che aveva assunto la condizione di servo (cf. Fil 2,7), e non veniva per giudicare (cf. Gv 12,47), bensì per essere giudicato, scelse Betlemme per la nascita e Gerusalemme per la Passione (cf. Lc 13,33).
Si compie quindi per i Magi il loro desiderio e, condotti dalla stella, arrivano fino al Bambino, il Signore Gesù Cristo. Nella carne, essi adorano il Verbo; nell’infanzia, la Sapienza; nella debolezza, il vigore; e nella verità dell`uomo, la maestà del Signore; e, per manifestare con segni esterni il mistero in cui credono e di cui hanno intelligenza, attestano con doni ciò che credono nel cuore. Offrono a Dio l`incenso, all`uomo la mirra, al re l`oro, consci di venerare nell’unità la divina e l`umana natura. (Leone Magno, Sermo 31, l s.)
Una conclusione che è un inizio …
Da questa apologia della ricerca, di cui i pellegrini guidati dalla stella sono modello fino all’approdo pervaso dallo stupore dell’adorazione, viene allora un grande no: il no alla negligenza della fede, il no ad una fede indolente, statica ed abitudinaria. E ne viene il sì ad una fede interrogante, anche dubbiosa, ma capace ogni giorno di cominciare a consegnarsi perdutamente all’altro, a vivere l’esodo senza ritorno verso il Silenzio di Dio, dischiuso e celato nella Sua Parola. Quel no raggiunge però anche il non credente tranquillo, incapace di aprirsi alla sfida del Mistero, attestato nella presunzione del “come se Dio non ci fosse”, non disposto a rischiare la vita “come se Dio esistesse”. Se c’è una differenza da marcare, allora, nella ricerca della verità che è la ricerca di Dio, non è anzitutto quella tra credenti e non credenti, ma l’altra tra pensanti e non pensanti, tra uomini e donne che hanno il coraggio di vivere la sofferenza, di continuare a cercare per credere, sperare e amare, e uomini e donne che hanno rinunciato alla lotta, che sembrano essersi accontentati dell’orizzonte penultimo e non sanno più accendersi di desiderio e di nostalgia al pensiero dell’ultimo orizzonte e dell’ultima patria. Qualunque atto, anche il più costoso, è degno di essere vissuto per riaccendere in noi il desiderio della patria vera, e il coraggio di tendere ad essa fino alla fine, oltre la fine …
Solo allora, quando ci saremo fatti pellegrini nella notte alla luce della Stella, potremo dire nella verità come hanno detto i Magi: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2). E sarà la gioia dell’incontro, la bellezza del riconoscerci amati nell’Amato. E gli Angeli potranno cantare anche per noi la gloria all’Altissimo e la pace offerta in abbondanza a quanti si lasciano amare da Lui. E potremo far pienamente nostra la preghiera dell’innamorato di Dio, che ha incontrato l’Amato e ancor più desidera incontrarLo, la preghiera con cui Anselmo apre il suo Proslogion, voce della sete del Volto rivelato e nascosto: “‘II Tuo volto, Signore, io cerco’ (Sal 26, 8). Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come cercarTi, dove e come trovarTi... Che cosa farà, o altissimo Signore, questo esule, che è così distante da Te, ma che a Te appartiene? Che cosa farà il Tuo servo tormentato dall'amore per Te e gettato lontano dal Tuo volto? Anela a vederTi e il Tuo volto gli è troppo discosto. Desidera avvicinarTi e la Tua abitazione è inaccessibile... Insegnami a cercarTi e mostraTi quando Ti cerco: non posso cercarTi se Tu non mi insegni, né trovarTi se non Ti mostri. Che io Ti cerchi desiderandoTi e Ti desideri cercandoTi, che io Ti trovi amandoTi e Ti ami trovandoTi”. (Da Catechesi GMG 2005, Ricercare la verità, senso profondo dell’esistenza umana “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella” (Mt 2,2) di + Bruno Forte Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto)
Cari fratelli e sorelle!
Per la Chiesa credente ed orante, i Magi d’Oriente che, sotto la guida della stella, hanno trovato la via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio di una grande processione che pervade la storia. Per questo, la liturgia legge il Vangelo che parla del cammino dei Magi insieme con le splendide visioni profetiche di Isaia 60 e del Salmo 72, che illustrano con immagini audaci il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme. Come i pastori che, quali primi ospiti presso il Bimbo neonato giacente nella mangiatoia, personificano i poveri d’Israele e, in genere, le anime umili che interiormente vivono molto vicino a Gesù, così gli uomini provenienti dall’Oriente personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili – gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di Dio e si prostrano davanti a Lui. La Chiesa chiama questa festa “Epifania” – l’apparizione, la comparsa del Divino. Se guardiamo il fatto che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini (cfr Tt 3,4).
Seguendo una tradizione iniziata dal Beato Papa Giovanni Paolo II, celebriamo la festa dell’Epifania anche quale giorno dell’Ordinazione episcopale per quattro sacerdoti che d’ora in poi, in funzioni diverse, collaboreranno al Ministero del Papa per l’unità dell’unica Chiesa di Gesù Cristo nella pluralità delle Chiese particolari. Il nesso tra questa Ordinazione episcopale e il tema del pellegrinaggio dei popoli verso Gesù Cristo è evidente. Il Vescovo ha il compito non solo di camminare in questo pellegrinaggio insieme con gli altri, ma di precedere e di indicare la strada. Vorrei, però, in questa liturgia, riflettere con voi ancora su una domanda più concreta. In base alla storia raccontata da Matteo possiamo sicuramente farci una certa idea di quale tipo di uomini debbano essere stati coloro che, in seguito al segno della stella, si sono incamminati per trovare quel Re che, non soltanto per Israele, ma per l’umanità intera avrebbe fondato una nuova specie di regalità. Che tipo di uomini, dunque, erano costoro? E domandiamoci anche se, malgrado la differenza dei tempi e dei compiti, a partire da loro si possa intravedere qualcosa su che cosa sia il Vescovo e su come egli debba adempiere il suo compito.
Gli uomini che allora partirono verso l’ignoto erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto. Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale forse considerevole. Erano alla ricerca della realtà più grande. Erano forse uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli astri e probabilmente disponevano anche di una formazione filosofica. Ma non volevano soltanto sapere tante cose. Volevano sapere soprattutto la cosa essenziale. Volevano sapere come si possa riuscire ad essere persona umana. E per questo volevano sapere se Dio esista, dove e come Egli sia. Se Egli si curi di noi e come noi possiamo incontrarlo. Volevano non soltanto sapere. Volevano riconoscere la verità su di noi, e su Dio e il mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva, erano in cammino verso di Lui. Erano ricercatori di Dio.
Ma con ciò giungiamo alla domanda: come dev’essere un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini. Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev’essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo. Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non dev’essere uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies irae. L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dar pace al Vescovo. È questo che intendiamo quando diciamo che il Vescovo dev’essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita. La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, dev’essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore.
Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera. Sant’Agostino ha detto una volta che la preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. Al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri. Il Vescovo, come pellegrino di Dio, dev’essere soprattutto un uomo che prega. Deve essere in un permanente contatto interiore con Dio; la sua anima dev’essere largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo splenda nel mondo.
Torniamo ai Magi d’Oriente. Questi erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede. Ci voleva del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in agguato. Possiamo immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su promesse così incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini toccati interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente.
Come non pensare, in una tale situazione, al compito di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri. Perciò, il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un Vescovo. Egli dev’essere valoroso. E tale valore o fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti. Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di nulla”, dice il Siracide (34,16). Il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi!
In questo contesto mi viene in mente un episodio degli inizi del cristianesimo che san Luca narra negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso di Gamaliele, che sconsigliava la violenza verso la comunità nascente dei credenti in Gesù, il sinedrio chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì loro di predicare nel nome di Gesù e li rimise in libertà. San Luca continua: “Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo” (At 5,40ss). Anche i successori degli Apostoli devono attendersi di essere ripetutamente percossi, in maniera moderna, se non cessano di annunciare in modo udibile e comprensibile il Vangelo di Gesù Cristo. E allora possono essere lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui. Naturalmente vogliamo, come gli Apostoli, convincere la gente e, in questo senso, ottenerne l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma tutt’al contrario invitiamo tutti ad entrare nella gioia della verità che indica la strada. L’approvazione delle opinioni dominanti, però, non è il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere grati di essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo.
I Magi hanno seguito la stella, e così sono giunti fino a Gesù, alla grande Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr Gv 1,9). Come pellegrini della fede, i Magi sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli che devono risplendere come astri nel mondo (cfr 2,15).
Cari amici, ciò riguarda anche noi. Ciò riguarda soprattutto voi che, in quest’ora, sarete ordinati Vescovi della Chiesa di Gesù Cristo. Se vivrete con Cristo, a Lui nuovamente legati nel Sacramento, allora anche voi diventerete sapienti. Allora diventerete astri che precedono gli uomini e indicano loro la via giusta della vita. In quest’ora noi tutti qui preghiamo per voi, affinché il Signore vi ricolmi con la luce della fede e dell’amore. Affinché quell’inquietudine di Dio per l’uomo vi tocchi, perché tutti sperimentino la sua vicinanza e ricevano il dono della sua gioia. Preghiamo per voi, affinché il Signore vi doni sempre il coraggio e l’umiltà della fede. Preghiamo Maria che ha mostrato ai Magi il nuovo Re del mondo (Mt 2,11), affinché ella, quale Madre amorevole, mostri Gesù Cristo anche a voi e vi aiuti ad essere indicatori della strada che porta a Lui. Amen. (Papa Benedetto XVI, Omelia del 6 gennaio 2013)
Fonte:http://figliedellachiesa.org
Antifona d'ingresso
È venuto il Signore nostro re:
nelle sue mani è il regno, la potenza
e la gloria.(cf. Ml 3,1; 1Cr 19,12)
Colletta
O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella,
hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio,
conduci benigno anche noi,
che già ti abbiamo conosciuto per la fede,
a contemplare la grandezza della tua gloria.
PRIMA LETTURA (Is 60,1-6)
La gloria del Signore brilla sopra di te.
Dal libro del profeta Isaìa
Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.
SALMO RESPONSORIALE (Sal 71)
Rit: Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.
O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.
I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.
Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.
SECONDA LETTURA (Ef 3,2-3a.5-6)
Ora è stato rivelato che tutte le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Canto al Vangelo (Mt 2,2)
Alleluia, alleluia.
Abbiamo visto la sua stella in oriente
e siamo venuti per adorare il Signore.
Alleluia.
VANGELO (Mt 2,1-12)
Siamo venuti dall’oriente per adorare il re.
+ Dal Vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
ANNUNZIO DEL GIORNO DELLA PASQUA
Dopo la proclamazione del Vangelo, il diacono o il sacerdote o un altro ministro idoneo può dare l’annunzio del giorno della Pasqua.
Fratelli carissimi, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno.
Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza.
Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua il …. .
In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte.
Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi:
Le Ceneri, inizio della Quaresima, il …. .
L’Ascensione del Signore, il …. .
La Pentecoste, il …. .
La prima domenica di Avvento, il …. .
Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli apostoli, dei santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore.
A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli.
Amen.
Preghiera sulle offerte
Guarda, o Padre, i doni della tua Chiesa,
che ti offre non oro, incenso e mirra,
ma colui che in questi santi doni
è significato, immolato e ricevuto:
Gesù Cristo nostro Signore.
PREFAZIO DELL’EPIFANIA
Cristo luce di tutti i popoli
E' veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente ed eterno.
[Oggi] in Cristo luce del mondo
tu hai rivelato ai popoli il mistero della salvezza
e in lui apparso nella nostra carne mortale
ci hai rinnovati con la gloria dell’immortalità divina.
E noi, uniti agli Angeli e agli Arcangeli,
ai Troni e alle Dominazioni
e alla moltitudine dei Cori celesti,
cantiamo con voce incessante
l’inno della tua gloria: Santo...
Antifona di comunione
Noi abbiamo visto la sua stella in oriente
e siamo venuti con doni per adorare il Signore. (cf. Mt 2,2)
Preghiera dopo la comunione
La tua luce, o Dio, ci accompagni sempre e in ogni luogo,
perché contempliamo con purezza di fede
e gustiamo con fervente amore il mistero
di cui ci hai fatto partecipi.
Lectio
A Natale è Dio che cerca l'uomo; all'Epifania è l'uomo che cerca Dio. L'Epifania è la festa dei cercatori di Dio, il natale dei lontani. Insieme ai Magi cammina l'uomo di sempre che, come loro, ha gli occhi nel cielo. I Magi, questi misteriosi lettori di stelle, sono il simbolo dell'immensa famiglia umana che per vivere ha bisogno di guardare in alto, ha bisogno di una esistenza non statica ma estatica: estasi è uscire da sé verso il grande giro delle stelle, dal cortile di casa verso la patria grande del mondo.
I magi sono anche «i santi più nostri», «gente dal cuore mai sazio» (D.M.Turoldo) che mostrano nella loro vicenda l'evidenza di quella frase di Agostino: «Inquieto il nostro cuore finché non riposa in Dio».
Sono «i santi più nostri» perché il loro cammino è pieno di incertezze e di errori: giungono nella città sbagliata, perdono di vista la stella, parlano del bambino con l'uccisore di bambini, cercano un re e trovano un Dio. Ma il loro cammino è pieno dell'infinita pazienza di ripartire, di ricominciare, a conforto di tutte le nostre ripartenze.
Il brano liturgico di questa Solennità forma l’inizio del capitolo 2 di Matteo (2,1-29) al quale seguono altri tre quadri narrativi: la fuga in Egitto (2,13-15); la strage degli innocenti (2,16-18) e il ritorno dall’Egitto (2,19-23).
Da notare che nel cuore della storia dei Magi troviamo una citazione biblica che focalizza l’importanza di Betlemme in questo periodo dell’infanzia di Gesù: «E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città di Giuda: da te, infatti, uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele» (Mt 2,6). Le due città costituiscono lo sfondo di questa vicenda dei Magi e sono accomunate da due fili tematici: la stella (vv. 2.7.9.10) e l’adorazione del bambino (vv. 2.11).
vv.1-2: “Nato Gesù a Betlemme di Giudea”.
I capitoli 1-2 di Matteo raccolgono l'infanzia di Gesù. Il secondo capitolo si apre con l'adorazione dei Magi a Betlemme, luogo di nascita di Davide e luogo di origine del futuro re messia. A conferma di ciò Matteo cita Michea 5,1-3. “Alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme”. Il termine greco magoi (magi da cui il termine italiano) ha una vasta gamma di significati: sacerdoti persiani, detentori di poteri soprannaturali, astrologi. La menzione della “stella” mostra che essi sono esperti in astrologia.
L’arrivo dei Magi è il segno che Gesù compie le promesse antiche, ma il compimento è accompagnato dal giudizio su Israele: i lontani accolgono il Messia e i vicini lo rifiutano. Tutto il Vangelo di Matteo è segnato da questa sorpresa: basti pensare alla parabola dei vignaioli omicidi (21,33ss.) o alla parabola della grande cena (22,1-14): ambedue mostrano che il regno passa da Israele ai pagani, e che questo passaggio rientra nel disegno di Dio.
“dov’è il re dei Giudei che è nato?” La prima parola di Dio rivolta ad Adamo è: “Dove sei?” (Gen 3,9) perché anche l’uomo chiedesse a sua volta a Dio: dove sei? E i due si potessero incontrare. Anche da parte dei magi c’è semplicemente, nascosto nella loro domanda, l’invito che ci viene rivolto di chiederci chi è questo bambino?
“Abbiamo visto spuntare la sua stella”. Questi magi sono astrologi, Sono studiosi che hanno visto in una stella un segno. La stella nell’antico Oriente era il segno di un dio e, di conseguenza, di un re divinizzato. Matteo ci riferisce questo fatto, perché esiste una profezia messianica esplicita nel libro dei Numeri (24,17), che parla di una stella.
“siamo venuti ad adorarlo”. Per tre volte nel racconto dei magi risulta il verbo greco dell'adorazione, che di sua natura indica il curvarsi dell'uomo nella venerazione della grandezza divina (Mt 2,2.8.11). Questo gesto sembra anticipare quanto l'evangelista dirà in seguito: “Molti verranno dall'oriente e dall'occidente e riceveranno a mensa...” (8,11). Purtroppo l'umanità spesso “ha venerato e adorato la creatura al posto del Creatore” (Rm 1,25). “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori” (1Pt 3,15). Tuttavia l'adorazione non è solo un atto di timore, è anche espressione di adesione gioiosa, di libertà, di intimità.
I magi che vengono dall'Oriente per incontrare il re dei Giudei si volgono spontaneamente verso Gerusalemme (vv.2-7), ritenuta la sede più importante. Ma il loro itinerario si modifica e si dirigono verso Betlemme (vv.8-12) la città di Davide che è la “più piccola delle città di Giuda”. (cfr. 1Sam 16). Il cambiamento di itinerario è motivato dalla profezia di (cfr. Mi 5,1.3) che annuncia la visita di Dio in mezzo al suo popolo per fargli dono di una guida, di un pastore.
v.3: “il re Erode restò turbato”
Dunque Gesù è re. Matteo ha però cura di collocare questo titolo in un contesto di opposizione. Accanto al re Messia c’è il re Erode. E il secondo ha paura del primo. In che senso Gesù può dirsi re? Un cenno alla regalità era già presente nella genealogia: Davide è il re, e Gesù discende da lui. Però fra Davide e Gesù c’è l’esilio, la fine del regno di Davide, la perdita di ogni prestigio politico: Gesù è re, ma senza corona.
Erode con il suo orgoglio non entra in questa dimensione della regalità di Gesù. Si crede l'unico re assoluto, altri non sono che usurpatori. La realtà e la verità è difficile da accettare, da accogliere, da sentire e da vivere.
vv.4-6: “Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo”.
C'è un informarsi che significa ricerca. Ma attenzione la ricerca di Erode è negativa non coglie la presenza della Luce. Erode abitava a otto chilometri di distanza da Betlemme, quindi vicino; poteva facilmente trovare il bambino. Non lo ha trovato. I Magi sono lontani dal punto di vista fisico, spirituale e morale; eppure camminano; la luce è sufficiente per dare a loro un itinerario di salvezza.
Per tanti aspetti noi siamo i vicini, però questo non ci garantisce. Bisogna che vicini come siamo riusciamo a cogliere questa luce, a lasciarci illuminare. E se siamo lontani per un motivo o per l’altro, però possiamo ricordare che il Natale è per noi, che la manifestazione del Signore è per noi. Non siamo così lontani da non intravedere la luce. La luce di Dio è andata a scomodare i Magi, là dov’erano. Così nessuno è così lontano da non potere intravedere questa luce. È a tutti che viene data la possibilità di trasformare il proprio camminare senza meta in un itinerario che ha come meta l’amore di Dio, il luogo dove l’amore di Dio si è manifestato.
“A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta...”. Erode sa, attraverso il profeta Michea, che il Messia deve nascere a Betlemme (Mi 5,1), ma non lo va a cercare. Si sperimenta quello che è uno dei drammi della storia dell’uomo e in fondo della storia della elezione di Dio. Il Signore chiama; quando il Signore chiama, ama con un amore di predilezione. Però chi è amato, e chi è scelto, deve stare attento a non trasformare la vocazione e la elezione in privilegio, come se la elezione di Dio lo collocasse al di sopra degli altri.
vv.7-8: “Allora Erode, chiamati segretamente i Magi... Andate e informatevi accuratamente sul bambino...”.
Il re dei giudei, infatti, era lui; egli riteneva di essere il punto di riferimento e di unità del suo popolo. Ora questa “stella”, apparsa improvvisamente nel cielo, viene a sconvolgere le sue prospettive, viene a competere con la sua autorità, la sua ricchezza, il suo prestigio.
vv.9-11: “essi partirono. Ed ecco, la stella...”.
Ricompare la stella (notiamo che questa riappare, dopo che “si allontanano” da Erode e da Gerusalemme), che si muove insieme ai magi e li conduce fino al luogo preciso della presenza del Signore Gesù. Quando Dio entra nella vita degli uomini lo fa sempre utilizzando un “linguaggio” che il destinatario può comprendere, rivelando così la sua condiscendenza: non dobbiamo, dunque, cercare i segni della presenza del Signore al di fuori della nostra storia, ma leggere il nostro quotidiano alla luce della Parola di Dio per scoprire le “stelle” e le “mangiatoie” in cui il Signore si fa trovare.
“Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima ...”. Provare gioia ... la presenza del Signore che ci riempie il cuore fino a farlo trasalire di gioia. La sua vista li riempie di una gioia profonda, quella che solo Dio può dare all'uomo, ai popoli; quella che ci rende capaci di uscire da noi stessi, superando ostacoli e contraddizioni, per comunicare ad altri ciò che è avvenuto nel nostro incontro con la Luce.
“videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono”. I magi vedono “il bambino in braccio alla madre” e adorano, verbo che nella sua etimologia significa portare la mano alla bocca, tacere e contemplare. Adorano il bambino, non un Re, non un Crocifisso perdonante, non un Risorto. Semplicemente un bambino. E si prostrano, si fanno piccoli davanti all'infinitamente piccolo. I cercatori trovano un bambino avvolto da un abbraccio. La madre è l'abbraccio che fa vivere. Ancora adesso Dio vive per il nostro amore, sta a noi aiutarlo a incarnarsi in queste case, in questi incontri. Valorizzando il feriale, il carnale, l'umiltà di Dio, la compenetrazione tra cielo e terra, uomo e Dio abbracciati, che insieme operano nella concretezza. «In mezzo a voi c'è uno che voi non conoscete» (Gv 1,26)
“aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”. I magi offrono doni significativi, che ci permettono di cogliere il mistero in tutta la sua profondità: oro, incenso e mirra. Di per sé quelle offerte sono il simbolo del riconoscimento di Gesù come messia, a cui si presenta un tributo di venerazione, come suggerisce la Bibbia: Sal 72, 10-11; Gen 49,10; Num 24,17; Mi 5,1-3; Is 49,23; 60,1-6.
Quando hai incontrato una persona, quando qualcuno ti risulta gradito, caro, amato e amante, prima o poi senti il bisogno di entrare nella dimensione del dono, nell'amore che si dona, non in quello che si prende.
L'oro della nostra obbedienza, l'incenso della nostra adorazione, la mirra delle angosce e delle delusioni. Il prezioso, il sublime, il nobile, il divino, il tragico: in quel bambino c'è tutto questo.
v.12: “per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”
Avendo contemplato e adorato il Signore, i magi ricevono da Dio stesso la rivelazione; è Lui stesso che parla a loro. Sono uomini nuovi; hanno in sé un nuovo cielo e una nuova terra. Sono liberi dagli inganni dell'Erode del mondo e perciò ritornano alla vita per una via tutta nuova, che il discernimento aveva loro indicato (cfr. 1Re 13,9-10). Una volta incontrato Cristo, non si può più tornare indietro per la stessa strada. Cambiando la vita, cambia la via. L'incontro con Cristo deve determinare una svolta, un cambiamento di abitudini. Chi ha incontrato il Signore scopre che la sua vita prende un'altra direzione, che il ritorno a casa, al centro di sé, al senso della vita, avviene per una strada nuova. I Magi scompaiono nei gorghi dell'oriente ma non si smarriscono, perché portano una stella in fondo al cuore.
L'Epifania che oggi celebriamo è aprire la nostra vita all'incontro con Cristo ed aprire tutti gli spazi possibili perché egli prenda possesso del nostro cuore e della nostra mente, per assaporare la gioia di appartenergli e di vivere per Lui, con Lui ed in Lui.
Appendice
I Gentili aderiscono al Cristo per mezzo dell’amore ai Giudei
Ora, dunque, o carissimi, figli ed eredi della grazia, osservate la vostra vocazione, ed apritevi ai Giudei ed ai Gentili, aderendo a Cristo, come pietra principale dell`edificio, con un amore molto perseverante.
Si manifestò, infatti, nella stessa culla della sua infanzia a questi, che erano vicini, e a quelli che erano lontano; ai Giudei, con la vicinanza dei pastori, ai Gentili, con la lontananza dei Magi.
Si crede che quelli venissero a lui nel giorno stesso in cui nacque, questi oggi.
Si manifestò, dunque, né a quelli, perché erano dotti, né a questi, perché giusti.
Traspare, infatti, nella rustichezza dei pastori, l`inesperienza, ma l`empietà nel carattere profano dei Magi.
La pietra angolare (il Cristo) attirò a sé gli uni e gli altri: senza dubbio, perché venne a scegliere le cose stolte dal mondo per confondere i sapienti (1Cor 1,27); e non chiamare i giusti, ma i peccatori (Mt 9,13); affinché nessun uomo grande insuperbisse, e nessun piccolo disperasse.
Per la qual cosa gli Scribi e i Farisei mentre sembrano troppo dotti e troppo giusti, indicarono la città del (Messia) nato, interpretando l`oracolo profetico, ma lo respinsero.
Ma poiché (egli) divenne la pietra principale (Sal 117,22), ciò che, nascendo, mostrò, adempì, soffrendo; aderiamo a lui con altri, includendo il resto d`Israele, che per elezione della grazia divenne salvo (Rm 11,5).
Quei pastori, infatti, li prefiguravano sulla loro imminente riunificazione, affinché anche noi, che siamo stati prefigurati dall`arrivo dei Magi, chiamati da lontano, rimaniamo, non più pellegrini ed estranei, ma familiari di Dio, edificati sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti, in virtù della principale pietra angolare, che è il Cristo Gesù: che una sola cosa realizzò e dell`una e dell`altra (Ef 2,11-12), affinché amiamo l`unità essendo uniti ed abbiamo l`instancabile carità, per riunire i rami che innestati sul selvatico, son diventati eretici ostinati, a causa della loro superbia, poiché potente è Dio che li innesta di nuovo (Rm 11,17-24). (Agostino, Sermo 200, 4)
I doni dei Magi svelano il mistero di Cristo
L`apparizione di una stella, compresa fin dall`inizio dai Magi, evoca l’idea che i pagani non debbono interporre indugi nel credere in Cristo, né gli uomini allontanati dalla conoscenza di Dio dalle loro convinzioni derivate dalla scienza, stentare a riconoscere la luce che immantinente è apparsa alla sua nascita. In effetti, l’offerta dei doni ha espresso l`essere di Cristo in tutto il suo significato, riconoscendo il re nell’oro, Dio nell’incenso, l’uomo nella mirra. E con la venerazione dei Magi si realizza pienamente la conoscenza dell’insieme del mistero: della morte nell’uomo, della risurrezione in Dio, del potere di giudicare nel re. Nel fatto poi che sono impediti di ritornare sui loro passi e di tornare in Giudea da Erode, vi è l’idea che noi non siamo liberi di attingere in Giudea la nostra scienza e la nostra conoscenza, ma che siamo invitati ad abbandonare la via della nostra vita anteriore collocando tutta la nostra salvezza e tutta la nostra speranza in Cristo. (Ilario di Poitiers, In Matth., 1, 5)
I magi attestano con i doni la fede nel mistero
In effetti, per quanto egli avesse prescelto la nazione israelita, e in questa medesima nazione una data famiglia per assumervi la comune natura umana, non volle tuttavia che le primizie della sua venuta restassero nascoste nei ristretti limiti della casa materna; volle al contrario farsi subito conoscere da tutti, lui che si degnava nascere per tutti.
Una stella di insolita lucentezza apparve allora a tre Magi d’Oriente, stella più brillante e più bella di tutti gli altri astri, che facilmente attrasse gli occhi e i cuori di coloro che la contemplavano; si poteva in tal modo comprendere che non fosse del tutto gratuito quanto di insolito era dato vedere. Colui che concedeva quel segno a quegli osservatori del cielo, ne concesse del pari l`intelligenza; ciò che fece capire, fece anche ricercare; e una volta cercato, si lasciò trovare.
I tre uomini si lasciano condurre dalla luce proveniente dall’alto e si fissano, contemplandolo senza stancarsi, al chiarore dell’astro che li precede e fa loro da guida; così, sono condotti dallo splendore della grazia fino alla conoscenza della verità, essi che, secondo il buon senso, avevano ritenuto un dovere cercare in una città regale la nascita di un re che era stato loro rivelato da quel segno. Ma colui che aveva assunto la condizione di servo (cf. Fil 2,7), e non veniva per giudicare (cf. Gv 12,47), bensì per essere giudicato, scelse Betlemme per la nascita e Gerusalemme per la Passione (cf. Lc 13,33).
Si compie quindi per i Magi il loro desiderio e, condotti dalla stella, arrivano fino al Bambino, il Signore Gesù Cristo. Nella carne, essi adorano il Verbo; nell’infanzia, la Sapienza; nella debolezza, il vigore; e nella verità dell`uomo, la maestà del Signore; e, per manifestare con segni esterni il mistero in cui credono e di cui hanno intelligenza, attestano con doni ciò che credono nel cuore. Offrono a Dio l`incenso, all`uomo la mirra, al re l`oro, consci di venerare nell’unità la divina e l`umana natura. (Leone Magno, Sermo 31, l s.)
Una conclusione che è un inizio …
Da questa apologia della ricerca, di cui i pellegrini guidati dalla stella sono modello fino all’approdo pervaso dallo stupore dell’adorazione, viene allora un grande no: il no alla negligenza della fede, il no ad una fede indolente, statica ed abitudinaria. E ne viene il sì ad una fede interrogante, anche dubbiosa, ma capace ogni giorno di cominciare a consegnarsi perdutamente all’altro, a vivere l’esodo senza ritorno verso il Silenzio di Dio, dischiuso e celato nella Sua Parola. Quel no raggiunge però anche il non credente tranquillo, incapace di aprirsi alla sfida del Mistero, attestato nella presunzione del “come se Dio non ci fosse”, non disposto a rischiare la vita “come se Dio esistesse”. Se c’è una differenza da marcare, allora, nella ricerca della verità che è la ricerca di Dio, non è anzitutto quella tra credenti e non credenti, ma l’altra tra pensanti e non pensanti, tra uomini e donne che hanno il coraggio di vivere la sofferenza, di continuare a cercare per credere, sperare e amare, e uomini e donne che hanno rinunciato alla lotta, che sembrano essersi accontentati dell’orizzonte penultimo e non sanno più accendersi di desiderio e di nostalgia al pensiero dell’ultimo orizzonte e dell’ultima patria. Qualunque atto, anche il più costoso, è degno di essere vissuto per riaccendere in noi il desiderio della patria vera, e il coraggio di tendere ad essa fino alla fine, oltre la fine …
Solo allora, quando ci saremo fatti pellegrini nella notte alla luce della Stella, potremo dire nella verità come hanno detto i Magi: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo” (Mt 2,2). E sarà la gioia dell’incontro, la bellezza del riconoscerci amati nell’Amato. E gli Angeli potranno cantare anche per noi la gloria all’Altissimo e la pace offerta in abbondanza a quanti si lasciano amare da Lui. E potremo far pienamente nostra la preghiera dell’innamorato di Dio, che ha incontrato l’Amato e ancor più desidera incontrarLo, la preghiera con cui Anselmo apre il suo Proslogion, voce della sete del Volto rivelato e nascosto: “‘II Tuo volto, Signore, io cerco’ (Sal 26, 8). Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come cercarTi, dove e come trovarTi... Che cosa farà, o altissimo Signore, questo esule, che è così distante da Te, ma che a Te appartiene? Che cosa farà il Tuo servo tormentato dall'amore per Te e gettato lontano dal Tuo volto? Anela a vederTi e il Tuo volto gli è troppo discosto. Desidera avvicinarTi e la Tua abitazione è inaccessibile... Insegnami a cercarTi e mostraTi quando Ti cerco: non posso cercarTi se Tu non mi insegni, né trovarTi se non Ti mostri. Che io Ti cerchi desiderandoTi e Ti desideri cercandoTi, che io Ti trovi amandoTi e Ti ami trovandoTi”. (Da Catechesi GMG 2005, Ricercare la verità, senso profondo dell’esistenza umana “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella” (Mt 2,2) di + Bruno Forte Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto)
Cari fratelli e sorelle!
Per la Chiesa credente ed orante, i Magi d’Oriente che, sotto la guida della stella, hanno trovato la via verso il presepe di Betlemme sono solo l’inizio di una grande processione che pervade la storia. Per questo, la liturgia legge il Vangelo che parla del cammino dei Magi insieme con le splendide visioni profetiche di Isaia 60 e del Salmo 72, che illustrano con immagini audaci il pellegrinaggio dei popoli verso Gerusalemme. Come i pastori che, quali primi ospiti presso il Bimbo neonato giacente nella mangiatoia, personificano i poveri d’Israele e, in genere, le anime umili che interiormente vivono molto vicino a Gesù, così gli uomini provenienti dall’Oriente personificano il mondo dei popoli, la Chiesa dei gentili – gli uomini che attraverso tutti i secoli si incamminano verso il Bambino di Betlemme, onorano in Lui il Figlio di Dio e si prostrano davanti a Lui. La Chiesa chiama questa festa “Epifania” – l’apparizione, la comparsa del Divino. Se guardiamo il fatto che, fin da quell’inizio, uomini di ogni provenienza, di tutti i Continenti, di tutte le diverse culture e tutti i diversi modi di pensiero e di vita sono stati e sono in cammino verso Cristo, possiamo dire veramente che questo pellegrinaggio e questo incontro con Dio nella figura del Bambino è un’Epifania della bontà di Dio e del suo amore per gli uomini (cfr Tt 3,4).
Seguendo una tradizione iniziata dal Beato Papa Giovanni Paolo II, celebriamo la festa dell’Epifania anche quale giorno dell’Ordinazione episcopale per quattro sacerdoti che d’ora in poi, in funzioni diverse, collaboreranno al Ministero del Papa per l’unità dell’unica Chiesa di Gesù Cristo nella pluralità delle Chiese particolari. Il nesso tra questa Ordinazione episcopale e il tema del pellegrinaggio dei popoli verso Gesù Cristo è evidente. Il Vescovo ha il compito non solo di camminare in questo pellegrinaggio insieme con gli altri, ma di precedere e di indicare la strada. Vorrei, però, in questa liturgia, riflettere con voi ancora su una domanda più concreta. In base alla storia raccontata da Matteo possiamo sicuramente farci una certa idea di quale tipo di uomini debbano essere stati coloro che, in seguito al segno della stella, si sono incamminati per trovare quel Re che, non soltanto per Israele, ma per l’umanità intera avrebbe fondato una nuova specie di regalità. Che tipo di uomini, dunque, erano costoro? E domandiamoci anche se, malgrado la differenza dei tempi e dei compiti, a partire da loro si possa intravedere qualcosa su che cosa sia il Vescovo e su come egli debba adempiere il suo compito.
Gli uomini che allora partirono verso l’ignoto erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto. Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale forse considerevole. Erano alla ricerca della realtà più grande. Erano forse uomini dotti che avevano una grande conoscenza degli astri e probabilmente disponevano anche di una formazione filosofica. Ma non volevano soltanto sapere tante cose. Volevano sapere soprattutto la cosa essenziale. Volevano sapere come si possa riuscire ad essere persona umana. E per questo volevano sapere se Dio esista, dove e come Egli sia. Se Egli si curi di noi e come noi possiamo incontrarlo. Volevano non soltanto sapere. Volevano riconoscere la verità su di noi, e su Dio e il mondo. Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva, erano in cammino verso di Lui. Erano ricercatori di Dio.
Ma con ciò giungiamo alla domanda: come dev’essere un uomo a cui si impongono le mani per l’Ordinazione episcopale nella Chiesa di Gesù Cristo? Possiamo dire: egli deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini. Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev’essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo. Come i Magi d’Oriente, anche un Vescovo non dev’essere uno che esercita solamente il suo mestiere e non vuole altro. No, egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio. Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce. “Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano!”, prega la Chiesa nel Dies irae. L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dar pace al Vescovo. È questo che intendiamo quando diciamo che il Vescovo dev’essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita. La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, dev’essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore.
Il pellegrinaggio interiore della fede verso Dio si svolge soprattutto nella preghiera. Sant’Agostino ha detto una volta che la preghiera, in ultima analisi, non sarebbe altro che l’attualizzazione e la radicalizzazione del nostro desiderio di Dio. Al posto della parola “desiderio” potremmo mettere anche la parola “inquietudine” e dire che la preghiera vuole strapparci alla nostra falsa comodità, al nostro essere chiusi nelle realtà materiali, visibili e trasmetterci l’inquietudine verso Dio, rendendoci proprio così anche aperti e inquieti gli uni per gli altri. Il Vescovo, come pellegrino di Dio, dev’essere soprattutto un uomo che prega. Deve essere in un permanente contatto interiore con Dio; la sua anima dev’essere largamente aperta verso Dio. Le sue difficoltà e quelle degli altri, come anche le sue gioie e quelle degli altri le deve portare a Dio, e così, a modo suo, stabilire il contatto tra Dio e il mondo nella comunione con Cristo, affinché la luce di Cristo splenda nel mondo.
Torniamo ai Magi d’Oriente. Questi erano anche e soprattutto uomini che avevano coraggio, il coraggio e l’umiltà della fede. Ci voleva del coraggio per accogliere il segno della stella come un ordine di partire, per uscire – verso l’ignoto, l’incerto, su vie sulle quali c’erano molteplici pericoli in agguato. Possiamo immaginare che la decisione di questi uomini abbia suscitato derisione: la beffa dei realisti che potevano soltanto deridere le fantasticherie di questi uomini. Chi partiva su promesse così incerte, rischiando tutto, poteva apparire soltanto ridicolo. Ma per questi uomini toccati interiormente da Dio, la via secondo le indicazioni divine era più importante dell’opinione della gente. La ricerca della verità era per loro più importante della derisione del mondo, apparentemente intelligente.
Come non pensare, in una tale situazione, al compito di un Vescovo nel nostro tempo? L’umiltà della fede, del credere insieme con la fede della Chiesa di tutti i tempi, si troverà ripetutamente in conflitto con l’intelligenza dominante di coloro che si attengono a ciò che apparentemente è sicuro. Chi vive e annuncia la fede della Chiesa, in molti punti non è conforme alle opinioni dominanti proprio anche nel nostro tempo. L’agnosticismo oggi largamente imperante ha i suoi dogmi ed è estremamente intollerante nei confronti di tutto ciò che lo mette in questione e mette in questione i suoi criteri. Perciò, il coraggio di contraddire gli orientamenti dominanti è oggi particolarmente pressante per un Vescovo. Egli dev’essere valoroso. E tale valore o fortezza non consiste nel colpire con violenza, nell’aggressività, ma nel lasciarsi colpire e nel tenere testa ai criteri delle opinioni dominanti. Il coraggio di restare fermamente con la verità è inevitabilmente richiesto a coloro che il Signore manda come agnelli in mezzo ai lupi. “Chi teme il Signore non ha paura di nulla”, dice il Siracide (34,16). Il timore di Dio libera dal timore degli uomini. Rende liberi!
In questo contesto mi viene in mente un episodio degli inizi del cristianesimo che san Luca narra negli Atti degli Apostoli. Dopo il discorso di Gamaliele, che sconsigliava la violenza verso la comunità nascente dei credenti in Gesù, il sinedrio chiamò gli Apostoli e li fece flagellare. Poi proibì loro di predicare nel nome di Gesù e li rimise in libertà. San Luca continua: “Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. E ogni giorno … non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo” (At 5,40ss). Anche i successori degli Apostoli devono attendersi di essere ripetutamente percossi, in maniera moderna, se non cessano di annunciare in modo udibile e comprensibile il Vangelo di Gesù Cristo. E allora possono essere lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per Lui. Naturalmente vogliamo, come gli Apostoli, convincere la gente e, in questo senso, ottenerne l’approvazione. Naturalmente non provochiamo, ma tutt’al contrario invitiamo tutti ad entrare nella gioia della verità che indica la strada. L’approvazione delle opinioni dominanti, però, non è il criterio a cui ci sottomettiamo. Il criterio è Lui stesso: il Signore. Se difendiamo la sua causa, conquisteremo, grazie a Dio, sempre di nuovo persone per la via del Vangelo. Ma inevitabilmente saremo anche percossi da coloro che, con la loro vita, sono in contrasto col Vangelo, e allora possiamo essere grati di essere giudicati degni di partecipare alla Passione di Cristo.
I Magi hanno seguito la stella, e così sono giunti fino a Gesù, alla grande Luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr Gv 1,9). Come pellegrini della fede, i Magi sono diventati essi stessi stelle che brillano nel cielo della storia e ci indicano la strada. I santi sono le vere costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano. San Paolo, nella Lettera ai Filippesi, ha detto ai suoi fedeli che devono risplendere come astri nel mondo (cfr 2,15).
Cari amici, ciò riguarda anche noi. Ciò riguarda soprattutto voi che, in quest’ora, sarete ordinati Vescovi della Chiesa di Gesù Cristo. Se vivrete con Cristo, a Lui nuovamente legati nel Sacramento, allora anche voi diventerete sapienti. Allora diventerete astri che precedono gli uomini e indicano loro la via giusta della vita. In quest’ora noi tutti qui preghiamo per voi, affinché il Signore vi ricolmi con la luce della fede e dell’amore. Affinché quell’inquietudine di Dio per l’uomo vi tocchi, perché tutti sperimentino la sua vicinanza e ricevano il dono della sua gioia. Preghiamo per voi, affinché il Signore vi doni sempre il coraggio e l’umiltà della fede. Preghiamo Maria che ha mostrato ai Magi il nuovo Re del mondo (Mt 2,11), affinché ella, quale Madre amorevole, mostri Gesù Cristo anche a voi e vi aiuti ad essere indicatori della strada che porta a Lui. Amen. (Papa Benedetto XVI, Omelia del 6 gennaio 2013)
Fonte:http://figliedellachiesa.org
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