Don Paolo Zamengo, SDB"Getta la maschera."

COMMENTO I DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)

Getta la maschera.    Entrare in Quaresima non vuol dire privarsi del cioccolato o compiere cose straordinarie. Entrare in Quaresima significa fermarsi, prendere le distanze da noi stessi, accettare di guardarsi in faccia e di fare il punto. Entrare in Quaresima significa gettare la maschera, abbandonare le vecchie abitudini che mutilano e la routine che imprigiona. 
Positivamente, entrare in Quaresima significa convertirsi per diventare se stessi, sviluppare il proprio potenziale di vita e di amore, mettendosi in ascolto e alla scuola del Vangelo. Entrare in Quaresima vuol dire camminare verso la liberazione come un tempo fece il popolo di Dio mettendosi in viaggio verso la terra promessa, significa diventare se stessi ed aiutare gli altri a fare la stessa cosa. Il Signore bussa alla porta. Chi gli aprirà? 
Recita. La parola sferzante di Gesù, in questo primo giorno di Quaresima, non esprime giudizi, ma descrive fatti, che sono indicati come fuorvianti. Gli scribi e i farisei vengono descritti come ipocriti, cioè come attori nello scenario del sacro e nelle dinamiche della vita. Assumono una veste che nasconde la loro umanità e in qualche modo protegge la loro fragilità, i limiti, il peccato, e si atteggiano in un comportamento che non ha il sapore della genuinità ma il solo obiettivo del consenso. 
Spessore e sapore della preghiera. Nella preghiera dei farisei è assente il dialogo con Dio, ma la preghiera è sommersa semplicemente da una costruzione forte e protettiva di formule che da sole dovrebbero bastare a garantire d’aver assolto ad un precetto. Scompare del tutto la gratuità della lode, la fatica e l’umiltà del chiedere, la gioia libera del ringraziare, l’umiliazione sana di chi tende la mano per chiedere il perdono e lasciarsi rialzare nel bene. Alle formule liturgiche, ai gesti del rito, all’altezza della tradizione viene dato lo spigoloso valore del mercato, per cui l’aver assolto un precetto dà un diritto e una coscienza che riposa. 
Gesù educa ad essere uomini, non personaggi che recitano. Gesù apre prospettive per crescere nella libertà, slegandoci dai fili che ci tengono prigionieri di un’immagine da difendere e di un applauso da tutelare. Gesù auspica lo spessore umano radicato in un cuore che crede, per scongiurare il rischio di essere marionette che un giorno potrebbero ritrovarsi vuote, senza ossatura, incapaci di esistere da sole. La spiritualità indicata da Gesù è quella dell’uomo maturo, in piedi, che nel rapporto con Dio sa leggere la verità del proprio essere, e ha l’umiltà di riplasmarsi ogni giorno alla luce della Parola. 
Contro l’estetica religiosa finta. Esistono, nelle antiche grandi cattedrali, sproporzionati candelabri d’altar maggiore, scolpiti nel legno tenero, laccati di bianco e decorati in oro zecchino. Colpiscono, hanno fascino, donano all’ambiente la solennità del tempio. Ma se si ha poi modo di avanzare ai lati dell’altare, si copre lo scenario misero dei trucchi: non solo sul retro, ma anche ai lati sono senza colore, talvolta persino il legno è solo sbozzato nemmeno levigato o verniciato. E pertanto pericolosamente esposto alla ferocia del tempo e tarlato. Sarebbe utile, per tutto il tempo di Quaresima, collocarli avanti, come monito visivo ai rischi di cui ogni uomo potrebbe essere vittima. 
Contro ogni idealismo. L’invito alla carità è non solo sano, ma profondamente educativo. In Gesù c’è l’indicazione alla concretezza di una fede che si traduce davvero in stili di vita. L’attenzione agli altri, resa visibile nei gesti, evita il rischio sempre presente di una fede imprigionata negli ideali, nei sogni, in prospettive lontane che, spesso, anche se non finte, restano vane. 

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