P. Marko Ivan Rupnik, Commento Domenica di Pasqua – Anno B

Domenica di Pasqua – Anno B
Gv 20,1-9
Congregatio pro Clericis

Il vangelo di Pasqua comincia dicendo che “era il primo giorno” (Gv 20,1). Infatti è il primo giorno
della nuova creazione, l’Ottavo Giorno dove tutto concorda, tutto è contemporaneo, tutto è aperto a tutto, tutto si compenetra con tutto.

È strano però che si dica che era al mattino ed era ancora tenebra.

È evidente la concordanza con il Cantico dei Cantici, la sposa che tutta la notte cerca l’amato (cf Ct 3,1-2). Qui Maria di Magdala va al sepolcro, in un clima d’amore che corrisponde certamente alla nuova creazione, ma pur nella sua generosità e nel suo amore non è ancora arrivata alla maturità pasquale, ancora vorrebbe trattenere l’Amato (cf Ct 3,4). La pietra rotolata non la rimanda subito alla vita, a una liberazione ma alla morte, pensa che qualcuno l’abbia portato via. Maria non coglie ancora che la pietra è rotolata per noi, affinchè vediamo che il Signore è già passato. La sua Pasqua-Esodo è compiuta. Colui che vive la propria vita nell’amore del Padre, cioè come dono di sé, passa attraverso il velo che si squarcia ed entra nel Santuario del Padre (cf Eb 10,20). Infatti per 40 giorni apparirà di qua, per insegnare e per manifestare ai discepoli come è l’umanità glorificata dal Padre nel Figlio.

All’annuncio della Maddalena Pietro e Giovanni cominciano a correre, praticamente tra il mercato e il pretorio, dunque in zone pericolose. Continua questo confronto che nel vangelo di Giovanni per cinque volte ritroviamo, tra Pietro e “l’altro discepolo” (Gv 18,16; 20, 2-8), “quello che Gesù amava” (Gv 13,23; 20,2; 21,7; 21,20) o “l’amico del Signore” (Gv 3,29; 11,3.11). Il nome non viene detto, il che vuol dire che è un discepolo rappresentativo, in cui tutti possiamo riconoscerci, è il discepolo per eccellenza dopo la Pasqua, colui che ha un amore simile a quello di Cristo, cioè non teme per sé stesso. Giovanni infatti lo ha seguito fino a dentro il Pretorio (cf Gv 18,15), senza temere. Lui è veramente l’uomo che ragiona secondo l’agape e perciò la tradizione lo mette sul cuore di Cristo, perché ragiona col cuore. Ragiona con lo stesso amore con cui è amato (cf Gv 15,12). È per questo che vince sempre su Pietro, perché Pietro ancora dopo l’ultima cena non si è fidato del Signore, ha sempre ancora una sua soluzione (cf Gv 18,10).

Ma è l’amore ad arrivare sempre primo. Giovanni guarda dentro e vede le bende posate lì, ovvero afflosciate, cadute giù come se il corpo fosse “evaporato”. Erano piegate allo stesso modo in cui si preparava il talamo. E questo è importante perché quando Cristo fu sepolto, Giuseppe di Arimatea prende una quantità enorme di mirra e aloe - 100 libre che sono 30 o 40 kg -  essenze che non sono usate per il morto, ma per profumare il vestito dello sposo (cf Pr 7,17; Ct 3,6; 5,1; Sal 45,9).

 Giuseppe di Arimatea con questa esagerata quantità fa vedere il compimento dell’amore, delle nozze per lo Sposo.

Le bende erano piuttosto dei teli, keriais sono le bende di Lazzaro (Gv 11,44) mentre qui si parla di otonia che è proprio un lenzuolo matrimoniale, lungo quattro metri. In questo lenzuolo viene avvolto Cristo, stretto tre volte con una cinghia: ai piedi, ai fianchi e al collo. Siccome il corpo se ne è andato, senza smuovere il lenzuolo, questo è caduto giù, si è afflosciato e rimane come se fosse preparato il letto.

Perciò è curioso, accostiamo il Cantico dei Cantici, Maria di Magdala, Giovanni che è l’amico, tutto crea un clima di amore assoluto. E proprio perché ama, Giovanni arriva per primo, guarda dentro, vede il talamo e aspetta Pietro.

Pietro arriva, entra ed osserva: ancora non capisce. Osserva ma non capisce. Entra Giovanni, vede e credette. Aderisce. A che cosa? È ovvio, non l’hanno rubato. Da qui non è possibile. Era impossibile scioglierlo e poi rimettere tutto a posto qui dentro, sistemare lasciando tutto legato. L’amore gli fa intuire che Cristo è passato in un’altra esistenza. Come aveva detto. La sua umanità vive adesso pienamente nella Gloria di Dio, è passata a un altro modo di esistenza. La morte non ha avuto l’ultima parola. Questo è certamente ciò che Giovanni ha creduto. Perché lo dice nella sua lettera molto bene: “Ciò che era al principio... noi abbiamo toccato... ciò annunciamo” (cf 1Gv 1,1-2). Cristo è la vita, chi ha il Figlio ha la vita eterna (cf 1Gv 5,12).

Proprio perché il Signore è risorto è diventato un Corpo di molte dimore (Gv 14,2), un Corpo in cui si viene incorporati. La Pasqua di Cristo è dunque per noi, attraverso i gesti d’amore, attraverso una vita vissuta come dono di sé, l’ingresso nel Santuario del Padre.

Questo passaggio noi lo celebriamo e viviamo in ogni eucaristia dove il nostro pane – che racchiude la nostra vita – diventa offerta. Per mezzo dello Spirito Santo manifesta il Corpo di Cristo diventando un dono totale che il Padre raccoglie nella sua Gloria.



P. Marko Ivan Rupnik
Fonte:http://www.clerus.va

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