D. Gianni Mazzali SDB, "DIO HA BISOGNO DEGLI UOMINI"

5a Domenica Tempo Ordinario - Anno C    Omelia
DIO HA BISOGNO DEGLI UOMINI

Dopo aver scorso le letture, ed in particolare il brano di Isaia, mi è subito venuto in mente il titolo di un film che ho visto nella mia giovinezza e che ha lasciato tracce nitide nella mia mente: "Dio ha bisogno degli uomini". Mi sembra l'espressione che riassume bene quanto la Parola di Dio ci vuole trasmettere oggi. Sia nell'Antico Testamento che, e in modo più sorprendente, nel Nuovo Dio spesso si serve dell'uomo, di uomini perché parlino in suo nome, perché rendano visibile, attraverso la loro vita, le loro azioni, la sua presenza. Il Dio in cui crediamo ci vuole coinvolgere, ci vuole responsabilizzare. Da sempre, ed in modo del tutto singolare in Cristo, ha scelto la nostra umanità, grande e fragile, per continuare a creare e salvare l'uomo.

INVITO E RISPOSTA

Ci affascina la grandiosità e maestà della teofania di Dio così come è descritta dal giovane Isaia che ne è il protagonista. E' un momento di contemplazione e di adorazione della grandezza e di chiara attestazione della santità di Dio: "Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria". In questo suo atteggiamento, nell'essere soggiogato da Dio che si rende manifesto, Isaia ci propone un modello di relazione con Dio che si rivela e dialoga con chi lo contempla e lo adora nel quotidiano, nella vita di ogni giorno. La giornata di ogni credente non può non essere incorniciata, magari soltanto per qualche intenso attimo, nella consegna di se stessi, della realtà tutta al Dio della nostra vita. E' un dialogo perenne che si imbastisce poi in tutte le azioni e le più svariate situazioni della giornata. In questo dialogo vitale Dio si comunica.
E' istruttivo constatare che Isaia, nel contemplare la gloria di Dio, esprima la sua piccolezza, la sua inadeguatezza, la sua fragilità:"(...) un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito". La prossimità con Dio, vissuta in modo autentico, ci rende trasparenti a noi stessi e agli altri. Ci fa sentire ed apparire ciò che siamo in verità. La santità di Dio fa risaltare il nostro peccato, la nostra sostanziale inadeguatezza e la chiara percezione che questa è un'esperienza universale.
Eppure Isaia non cade nello sconforto, nella delusione amara. Insiste che, nonostante il peso della sua umanità, "i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti". Il progetto di Dio su di noi nasce dall'accostamento della sua santità al nostro peccato, alla nostra esistenziale incapacità. Dio si rivela a noi con un perenne invito, una sollecitazione ad essere strumento suo in mezzo agli uomini, ad essere eco della sua parola, ad essere presenza che rianima e salva: "Chi manderò e chi andrà per noi?". Non è una domanda retorica. Dio "cerca aiuto", ha bisogno di interlocutori, di interpreti in mezzo alla gente.
Personalmente mi commuove la prontezza, l'immediatezza della risposta di Isaia. Non interloquisce, perché ha già dichiarato prima di non sentirsi all'altezza. Si è affacciato sull'immensità di Dio ed ora si affida, senza remore, senza ma o senza se, si butta incondizionatamente: "Eccomi, manda me!".

RICEVERE E ANNUNCIARE

Con altre parole Paolo, nel brano ai Corinti che viene proposto oggi, si pone sulla stessa lunghezza d'onda. Definisce se stesso potremmo dire come un "passaparola". Il messaggio che egli reca non è "cosa sua", non è patrimonio della sua mente, non è il suo pensiero. Semplicemente egli trasmette, fa da eco a ciò che ha ricevuto. Consegna con fedeltà l'annuncio di Cristo che ha trasformato radicalmente la sua vita, il cuore della fede in Gesù di Nazaret: "Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture, fu sepolto ed è risorto il terzo giorno, secondo le Scritture".
Paolo non si propone come protagonista del messaggio, ma come servo, come ponte su cui la verità della salvezza dell'uomo in Cristo, può passare ed essere consegnata all'umanità. Il nostro annuncio, secondo Paolo, può essere credibile se nasce da una esperienza personale di Cristo incontrato dell'adorazione, nella contemplazione, nell'amore. Gesù, in modo diverso da chi lo ha "visto" nella sua vita terrena e nel suo corpo risorto, appare, si presenta a ciascuno di noi nei segni tangibili della fede e quello stesso Gesù, vissuto, conosciuto e amato, noi trasmettiamo e annunciamo ai nostri fratelli.

FIDARSI DI GESU'

Il modello si ripete nel dialogo tra Pietro e Gesù. Pietro, pescatore esperto, reagisce di fronte alla richiesta di Gesù di tornare a pescare con una constatazione amara, ma non si chiude, non si irrigidisce in un orgoglioso scetticismo. Si fida di quell'uomo misterioso, di quel Maestro che istruisce le folle: "Sulla tua parola getterò le reti". Come il giovane Isaia, anche Pietro si accorge di essere di fronte a Qualcuno immensamente più grande di lui, il miracolo della pesca lo sconvolge e lo mette di fronte alla sua inadeguatezza: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore". Si rinnova lo schema del dialogo: Gesù non cessa di proporre a tutti gli uomini, rappresentati da Pietro, di fidarsi di Lui per essere con Lui. E' possibile offrirgli una risposta autentica, solo nella consapevolezza che, nella nostra incapacità e inadeguatezza, in fondo nel nostro peccato, abbiamo bisogno di lui, perché Lui vuole avere bisogno di noi.

"Dio
ha bisogno degli uomini,
di tutti gli uomini,
dei migliori e dei peggiori,
di quelli che l'adorano
e di quelli che lo negano"
(Jean Delannoy).

Don Gianni MAZZALI sdb

Fonte:http://www.donbosco-torino.it


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