Bruno FERRERO sdb, "E' NASCOSTO MA E' PRESENTE QUI"

Corpus Domini - Anno C     Omelia
E' NASCOSTO MA E' PRESENTE QUI

Un giorno, in una parrocchia, arrivò un messaggio direttamente dal Paradiso.
"Questa sera verrò a farvi visita. Gesù".
Il parroco si affrettò ad annunciarlo a tutti e la gente arrivò in massa per vederlo. Tutti si aspettavano da Gesù una bella predica, ma egli si limitò a sorridere al momento delle presentazioni e disse: "Buonasera". Erano tutti disposti a ospitarlo per la notte, soprattutto il parroco, ma egli rifiutò gentilmente l'invito e disse che avrebbe trascorso la notte in chiesa. Cosa che tutti approvarono.
Egli se ne andò senza far rumore l'indomani mattina presto, prima che venissero aperte le porte della chiesa.
Quando tornarono, il parroco e gli altri scoprirono che la chiesa era stata oggetto di atti di vandalismo. Dovunque sulle pareti era scarabocchiata una parola. Sempre la stessa: attenzione. Non un solo angolo era stato risparmiato: le porte, le finestre, le colonne, il pulpito, l'altare, persino la Bibbia che stava sul leggio. Attenzione.
Incisa a grandi e piccole lettere, con i pennarelli, a penna, con lo spray e dipinta in tutti i colori possibili. Dovunque l'occhio si posasse, si potevano scorgere le parole: "Attenzione, attenzione, attenzione, attenzione, attenzione, attenzione...".

Ecco perché esiste la festa che celebriamo.

L'abitudine copre di grigio e di polvere anche le cose più belle e più grandi. L'abitudine al miracolo fa sì che non ce ne accorgiamo più.
La nostra vita è piena di cose senza importanza, di gesti quotidiani che ritornano con monotonia. Che cosa c'è di più banale del pane? Di più facilmente sprecato? Che cosa c'è di più ordinario del mangiare e del bere?
Eppure non possiamo farne a meno. Non ci pensiamo, come a respirare, ma grazie a questi gesti noi viviamo.
Gesù ha scelto un gesto ordinario per il miracolo più grande.
Solo così possiamo comprendere l'Eucaristia, il gesto centrale della vita della Chiesa: tu in me io in te. Un pasto in comune è molto diverso da una riunione, una tavola rotonda, una conferenza. Un pasto unisce i partecipanti attraverso il mangiare e il bere, attraverso i cibi e le bevande consumati. Un pasto non è soltanto materiale, è anche un modo particolare, solenne, di stare insieme.
Nella Cena eucaristica la realtà umana più elementare diventa sacra e il sacro diventa elementare.
L'unico pane, che Gesù dà, è infatti lui stesso. Attraverso di lui, che si dona, tutti diventano, in senso figurato, il suo "corpo". Sant'Agostino l'ha espresso in maniera insuperata: "Veniamo assunti nel suo corpo, diventiamo le sue membra e siamo così ciò che riceviamo".
Il mangiare e il bere rappresentano tutto l'essere umano, dipendente e bisognoso. E non soltanto noi assumiamo Cristo in noi, anche Dio accoglie tutto il nostro corpo. Dio non riconcilia noi uomini con sé senza accogliere tutto il nostro corpo. La linfa che è la vita di Gesù scorre poi in tutto il resto della vita degli uomini.
Quello che colpisce è la grande corporeità di tutto: Gesù è visibile nella Chiesa, perché questa comunità di persone rende visibile e toccabile Gesù.
Tutti i riti della Chiesa sono molto concreti. L'esperienza religiosa del cristiano è radicata nella vita corporea: la nascita e la morte, il sesso e il cibo, il peccato e la malattia diventano "sacramenti" per i cristiani: significa che in queste attività tipicamente fisiche la grazia di Dio ci viene incontro, ci tocca, ci guarisce e ci cambia.
Giovanni scrive: "La Parola che dà la vita esisteva fin dal principio: noi l'abbiamo udita, l'abbiamo vista con i nostri occhi, l'abbiamo contemplata, l'abbiamo toccata con le nostre mani. La vita si è manifestata e noi l'abbiamo veduta" (Prima lettera di Giovanni 1, 1-2).
Questa è la storia di Gesù che, "pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,6-8).
È la storia di Dio che vuole venire vicino a noi, così vicino che possiamo vederlo con i nostri occhi, udirlo con i nostri orecchi, toccarlo con le nostre mani; così vicino che non c'è niente tra noi e lui, niente che separi, niente che divida, niente che crei distanza.

L'eucaristia è il gesto più comune e più divino immaginabile. Questa è la verità di Gesù. Così umano, eppure così divino; così familiare, eppure così misterioso; così nascosto, eppure così rivelante!
Gesù è Dio-per-noi, Dio-con-noi, Dio-in-noi. Gesù è Dio che si dona completamente, che elargisce se stesso a noi senza riserve. Gesù non trattiene e non si aggrappa ai suoi beni. Egli dona tutto ciò che c'è da dare.
"Mangiate, bevete, questo è il mio corpo, questo è il mio sangue... Eccomi per voi!".
Tutti conosciamo questo desiderio di dare noi stessi a tavola. Diciamo: "Mangia e bevi; l'ho fatto per te. Prendine di più; è lì per te, per goderne, per esserne fortificato, sì, per farti sentire quanto ti voglio bene". Ciò che desideriamo non è semplicemente dare del cibo, ma dare noi stessi. "Sii mio ospite", diciamo. E mentre incoraggiamo i nostri amici a mangiare alla nostra mensa, vogliamo dire: "Sii mio amico, mio compagno, il mio amore - sii parte della mia vita - voglio darti me stesso".
Nell'eucaristia Gesù dona tutto. Il pane non è semplicemente un segno del suo desiderio di diventare il nostro cibo; il calice non è solo un segno della sua volontà di essere la nostra bevanda. Il pane e il vino diventano il suo corpo e il suo sangue nel darsi. Veramente il pane è il suo corpo dato per noi, il vino il suo sangue versato per noi.
Come Dio si fa completamente presente per noi in Gesù, così Gesù si fa completamente presente a noi nel pane e nel vino dell'eucaristia.
Dio non soltanto si è fatto carne per noi tanti anni fa in un paese lontano. Dio si fa anche cibo e bevanda per noi ora in questo momento della celebrazione eucaristica, proprio dove siamo insieme intorno alla tavola. Dio non si tira indietro; Dio dona tutto.

Questo è il mistero dell'incarnazione.

Questo è anche il mistero dell'eucaristia.
L'incarnazione e l'eucaristia sono le due espressioni dell'immenso amore di Dio che dona se stesso. E così il sacrificio sulla croce e il sacrificio sulla mensa sono un unico sacrificio, un dono di sé divino e completo che raggiunge tutta l'umanità nel tempo e nello spazio.
La parola che meglio esprime questo mistero dell'amore totale di Dio che dona se stesso è "comunione".
Nella mia comunità io tocco Dio e nella mia comunità Dio tocca me.
Per questo non può esistere cristianesimo senza partecipazione reale nella Chiesa. L'amore che dà se stesso e che incontriamo nell'eucaristia è la fonte della vera comunità cristiana. Gesù vuole talmente darsi a noi che è diventato cibo per noi, e ogni volta che mangiamo di questo cibo sorge anche in noi il desiderio di darci agli altri.

Dio desidera essere pienamente unito a noi in modo che tutto di Dio e tutto di noi possa essere unito insieme in un amore eterno. Tutta la lunga storia della relazione di Dio con noi esseri umani è una storia di comunione che si approfondisce sempre di più. Non si tratta semplicemente di una storia di unioni, separazioni e unioni restaurate, ma di una storia in cui Dio è in continua ricerca di modi sempre nuovi per fare intimamente comunione con coloro che sono stati creati a immagine di Dio.
Sant'Agostino diceva: "Il mio cuore è inquieto finché non riposa in te, o Dio", ma quando esaminiamo la storia tortuosa della nostra salvezza, vediamo che non soltanto noi desideriamo ardentemente appartenere a Dio, ma che anche Dio anela appartenere a noi.
Come se Dio ci stesse dicendo a gran voce: "Il mio cuore è inquieto finché non potrà riposare in voi, mie amate creature". Da Adamo ed Eva ad Abramo e Sara, da Abramo e Sara a Davide e Betsabea e da Davide e Betsabea a Gesù e sempre da allora, Dio grida forte per essere ricevuto dai suoi. "Vi ho creato, vi ho dato tutto il mio amore, vi ho guidato, offerto il mio sostegno, promesso l'avveramento dei desideri del vostro cuore: dove siete, dov'è la vostra risposta, dov'è il vostro amore? Cos'altro vi devo fare affinché mi amiate? Non cederò, continuerò a tentare. Un giorno scoprirete quanto io desideri il vostro amore!".
È questo intenso desiderio di Dio di entrare nella relazione più intima con noi che costituisce il nucleo della celebrazione eucaristica e della vita eucaristica. Dio non soltanto vuole entrare nella storia umana divenendo una persona che vive in un'epoca specifica e in un paese specifico, ma egli vuole diventare il nostro cibo e la nostra bevanda quotidiani in ogni tempo e in ogni luogo.
Quindi Gesù prende il pane, lo benedice, lo spezza e lo dà a noi. E allora, quando vediamo il pane nelle nostre mani e lo portiamo alla bocca per mangiarlo, sì, allora i nostri occhi si aprono e lo riconosciamo.
Questo il senso di quelle parole solenni che pronunceremo tra poco: "Fate questo in memoria di me".

Ma quanto di questo mistero è reale in noi?

Per una volta, scriviamo "attenzione" su quel pezzo di pane, su questo rito. Perché diventi realmente parte della nostra vita.

Un missionario in Papua Nuova Guinea si accorse che uno dei suoi nuovi cristiani, un fiero capo della tribù kanaka, alla fine di ogni Messa andava davanti al tabernacolo e vi rimaneva a lungo, dritto come una palma, a torso nudo. Era un uomo molto semplice, che non aveva ancora neppure imparato a leggere la Bibbia.
Un giorno il missionario non resistette alla curiosità e gli chiese che cosa facesse, così fermo e silenzioso davanti al tabernacolo.
Ridendo, il kanako rispose:
"Tengo la mia anima al sole!".

Pensate anche al senso che ha la processione, quando l'ostensorio (quello strano recipiente che contiene l'ostia consacrata e che ha proprio la forma di un sole) passa davanti alle porte e alle finestre delle case.
È bello che nelle famiglie, nelle case si possa celebrare la comunione, ringraziare per il semplice fatto di essere insieme, gioire perché Dio ci ha uniti, ci ha affidati gli uni agli altri, mettendo al centro colui che la fonte di tutto colui che chiede la nostra tenerezza, che ci chiama a entrare nelle beatitudini: il più piccolo, il più povero.
In un mondo ferito, le nostre famiglie, le nostre case, le nostre comunità, possono diventare piccole oasi.
Luoghi umili e modesti, solidali con i poveri e i sofferenti, dove non facciamo grandi cose, ma ci sforziamo di vivere quell'alleanza che Dio ha intrecciato fra di noi.
Non luoghi isolati, a parte, ma luoghi aperti, in comunione con gli altri, i vicini, la gente del quartiere, ma anche con quelli che sono lontani. Facciamo tutti parte del medesimo corpo, ognuno al suo posto; il medesimo soffio ci anima, il medesimo pane ci nutre.
Dio si è fatto carne, si è fatto materia, si è fatto movimento, si è fatto cambiamento, si è fatto sofferenza: non devo più aver paura, non devo più temere.
Dio è presente nella sua parola, nella sua eucaristia, nel sacramento del perdono e nel sacramento del povero.
È presente nella mia personale povertà, nella mia fragilità e nelle mie ferite.
È nascosto, ma è qui presente.

Don Bruno FERRERO sdb

Fonte:http://www.donbosco-torino.it


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